giovedì 9 febbraio 2012

MBVM Giovanni Battista Acanfora, classe 1905

Una foto del Capitano che indossa l'uniforme mod. 902 con le mostrine del 9° Reggimento "Regina"
Il seguente resoconto è tratto da un libretto  che la famiglia del defunto Ufficiale fece stampare per tramandare ai posteri le gesta di questo coraggioso. Libretto che ho avuto la fortuna di recuperare assieme ad una sua uniforme.
Giovan Battista Acanfora nacque a Militello, in Sicilia, il 25 ottobre del 1885, suo padre era un Ricevitore del Regno e, per seguire il padre nel suo ufficiò, si trasferì con il resto della famiglia  a Taranto.
Ancora in giovane età perse l’affetto del padre e,ormai a guida della numerosa famiglia, condusse  virtuosamente i propri studi ,dai quali aveva come unica distrazione quella di simulare antiche battaglie con isoldatini di piombo e  di combattere scherzosamente in compagnia dei propri amici che spesso comandava come piccolo ufficiale.
Sempre a Taranto consegui il diploma liceale presso l’istituto “Archita”, nel 1905 si iscrisse all’Accademia Militare di Modena dalla quale, nel 1907, uscì col grado di Sottotenente, e destinato al 29° Reggimento Fanteria.
Prestò servizio, distinguendosi, durante il terremoto calabro-siculo del 1908 e durante l’epidemia colerica a Barletta. Il 31 dicembre del 1910 fu promosso Capitano e con questo grado gli furono assegnati incarichi di responsabilità che lo videro  ufficiale della compagnia di disciplina a Francavilla Fontana e poi  comandante delle carceri militari di Piacenza e Bari.
Allo scoppio della guerra in Europa si trovava a  Taranto, presso il 9° Reggimento Fanteria “Regina”  e, pur non essendo attivo  nel promuovere l’intervento  dell’Italia in quello che sarebbe divenuto il primo conflitto mondiale, cosa che il suo incarico gli impediva, non nascondeva le proprie idee irredentiste.

L'uniforme del Cap. Acanfora

Celando un difetto organico, che gli avrebbe permesso di essere esonerato dalle fatiche di guerra,  partì con il 139° Reggimento per il fronte.
Giunse l’ordine di espugnazione  del San Michele. Il 139°, che stava nelle retrovie,  doveva passare agli avamposti per  appoggiare altri reggimenti, che già si erano impegnati nella mischia. Dopo tre giorni di marcia, senza che il reggimento fosse adeguatamente rifornito, il Capitano Acanfora giunse a destinazione.
All’alba del 25 luglio del 1915 il 139° , senza aver riposato, entrò in azione, il Capitano Acanfora con la sua compagnia operò nel primo assalto alle trincee austriache. 

Quanto segue è tratto dal resoconto della battaglia narrato dai testimoni e riportato nel libretto commemorativo sopra citato:

Ferito la prima volta al braccio destro passò l’arma alla mano sinistra , come asseriscono o testimoni del suo valore, e continuò ad eccitare i soldati alla gloria ed alla pugna. Il suo eroismo fu domato, ma non vinto, da una palla a scoppio usata dai calpestatori delle leggi internazionali, palla che, avendolo colpito  alla coscia destra, circa dieci centimetri sopra la rotella del ginocchio, produsse tale frattura dell’arto, che l’eroico Capitano cadde, per non più rialzarsi. Alcuni suoi Soldati cercarono di trarlo da quel luogo divenuto infernale, per condurlo al più vicino posto di medicazione, che  era però ben lungi, laggiù, a valle, ma Egli non volle e preferì che i suoi lo vendicassero, piuttosto che si sottraessero alla mischia.
E “qui bisogna coprirsi di gloria  o morire tutti” furono le sue incoraggianti ultime parole. La mischia durò per altre lunghe ore, micidiale, e, quando alla sospensione del fuoco le barelle dovevano raccogliere i feriti, GIOVANNI ACANFORA, che aveva baciato la bandiera prima che questa da lui si allontanasse, fu trovato cadavere, con il volto atteggiato, non a terrore, ma a sorriso, come se lieto fosse rimasto della sua fine.

La seguente è, invece, la motivazione con la quale fu decorato della Medaglia di Bronzo al Valor Militare:

Dopo tre giorni di azioni di fuoco, compiute dalle trincee, condusse con slancio ed ardimento la sua compagnia all’assalto delle posizioni nemiche. Cadde valorosamente, alla testa del reparto, sul ciglio della posizione conquistata.
Monte S. Michele, 26 luglio 1915

La morte del Capitano Acanfora fu accolta  a Taranto, sua città d’adozione, con vero cordoglio, il suo nome venne inciso sulla lapide del Liceo “Archita” insieme a quelli degli studenti caduti sui campi di battaglia.
Molti anni dopo la città lo onorò intitolando a lui un istituto scolastico, ancora oggi esistente, ed una piazza.

venerdì 16 dicembre 2011

Sottotenente De Pasquale Giuseppe, classe 1904

Di seguito riporto i cenni riassuntivi della carriera militare del mio Bis-nonno,  Prof. Giuseppe De Pasquale; più delle notizie,tratte dal foglio matricolare dell’Ufficiale, e pertanto povere dal punto di vista descrittivo, molto più evocative sono le numerose foto che ho ereditato, pubblico in questa pagina le più  significative.
154a Legione CC.NN in Africa Settentrionale

Il 26/08/1939 è mobilitato , per esigenze  speciali, nella 154° Legione CC.NN, con la quale legione parte in Africa Settentrionale dove frequenta con esito positivo il corso Allievi Ufficiali di Complemento di Fanteria presso il 115° Reggimento a Derna.


Inbarcatosi il 27 aprile 1940 a Derna sbarca a Siracusa il 30 dello stesso mese, il 1° maggio 1940 viene posto  in congedo presso il distretto militare di Taranto.
Il Primo giugno 1940 viene nominato Sottotenente di Complemento e destinato, il 13 dicembre, per il servizio di prima nomina, al deposito 48°Reggiemento Fanteria “Ferrara”  in Bari, un mese dopo è ricollocato in congedo per ultimato servizio di prima nomina.
il STen. De Pasquale con l'Uniforme mod. 34 del 48°Reggimento "Ferrara"

Il 25 giugno del 1942 viene richiamato alle armi  d’autorità presso il Comando Difesa Territoriale di Bari , il 10 luglio  del 1942 viene trasferito alla Censura Militare di Bari e assegnato al Reparto Censura del comando della Divisione “La Spezia”, il 14 novembre viene trasferito alla Censura Militare di Guerra di Gorizia.


Gorizia
Il STen. De Pasquale con l'Uniforme mod. 40 del Reggimento "La Spezia"

Foto ricordo inviata dal STen. De Pasquale alla mia Bis-Nonna Isa
Sottrattosi , dopo l’ 8 settembre 1943, alla cattura  in territorio metropolitano occupato dalle truppe tedesche tenta di congiungersi ad un Comando italiano. In seguito alla liberazione del Veneto da parte delle truppe alleate raggiunge Taranto dove si presenta al proprio distretto di appartenenza.

Il STen. De Pasquale con la famiglia

mercoledì 2 novembre 2011

Soldato Evangelista Natalino, Classe 1923 - 9° Reggimento Regina, Rodi

Intervista del  23 ottobre 2011




Addestramento
Nel gennaio del 1943 ricevetti il primo addestramento  a Catanzaro, l’esperienza durò un paio di mesi, passati i quali, fui trasferito a Ponte Cagnano (Salerno) per ulteriore istruzione militare. Ci fu distribuito vestiario pesante adatto ai climi rigidi della Russia, nostra iniziale meta, poi il capovolgimento degli eventi e la ritirata dell’ARMIR, ormai in rotta,  costrinse il Comando Generale ad assegnarci una nuova destinazione,  restituimmo l’equipaggiamento e ce ne fu consegnato di più leggero, consono al clima delle isole dell’Egeo.
Verso il mese di giugno ci imbarcammo da Brindisi sulla Regia Nave “Italia” in direzione di Rodi.

La Guerra
La divisione doveva presidiare l’Isola di Rodi, compito che svolgemmo assieme all’alleato tedesco con il quale i rapporti, fino all’8 settembre, furono sempre cordiali.

Dopo l’8 settembre
In quei giorni prestavo servizio di guardia presso il Comando Generale in Campo di Chiari; il giorno 9 arrivò un telegramma (si tratta del telegramma 24202 nda) in cui il Comando supremo dava confuse disposizioni in merito al comportamento da tenere nei confronti dell’ex-alleato, di fatto la Divisione era “…libera assumere verso germanici atteggiamento che riterrà più conforme at situazione…”  Seguirono, nei giorni successivi, furiosi e confusi combattimenti con i Tedeschi, aiuti delle truppe anglo-americane furono attesi inutilmente, e, nonostante alcune iniziali vittorie, l’Ammiraglio Campioni decise di arrendersi al Gen. Kleemann che si era recato a parlamentare al Comando italiano.

La deportazione e l’esperienza da IMI
In seguito alla resa i tedeschi radunarono gli ex-alleati, disarmati, nella piazza d’armi del Comando. Il primo mese lo trascorremmo a Rodi, sotto il comando tedesco. Dormivamo all’aperto, con qualsiasi condizione meteorologica, per mangiare ci si arrangiava, mangiavamo verdure ed erba cotta nell’acqua di mare insieme ad occasionali aiuti da parte dei civili, credo che siano passati anni prima che l’erba abbia ricominciato a crescere folta in quei luoghi; naturalmente era esclusa qualsiasi possibilità di comunicare con le nostre famiglie. In seguito, con aerovelivoli  Junker ,fummo trasportati nel Pireo, dove, per un mese, fummo impiegati come forza lavoro e utilizzati nel carico e scarico di casse di munizioni. Da qui, su tradotte per il trasporto del bestiame, in circa 60-70 uomini per vagone, fummo spostati, con un interminabile viaggio di 13 notti e 12 giorni, attraverso i Balcani, fino alla Germania. Giunti a destinazione fummo “parcheggiati” in un grande capannone, ci furono tolti i vestiti, fummo rasati “sopra e sotto” e così, nudi come vermi, fummo disinfettati con spennellate di creolina. Da quel momento diventammo IMI, internati militari italiani, qualifica che, a differenza di “prigionieri di guerra” ci rendeva utilizzabili nei lavori forzati, in barba alla convenzione di Ginevra. Fummo  portati, poi,  in un  campo di concentramento vicino Lipsia, lo IV Stamlager B di Mulberg  era all’incirca  novembre. Ogni mattina venivamo svegliati alle 5, e in fila per 5, anche sotto la neve, rispondevamo all’appello e venivamo contati, ogni giorno ci veniva chiesto se volevamo combattere al fianco dei tedeschi o aderire alla Repubblica Sociale; quando mi fu chiesto risposi che onoravo un unico giuramento, quello fatto al Re d’Italia, e rifiutai categoricamente, il soldato tedesco , allora mi disse, con fare arcigno: “molto coraggioso Italiano”.
Alle 11 ci veniva dato un mestolo di brodaglia (sciacquatura di marmitta) e un pezzo di pane nero fatto in gran parte di segatura di Betulla. Come facilmente intuibile, in quelle condizioni, fioriva il mercato nero: scambiavamo con gli inglesi del campo confinante anelli, cinte e piccoli oggetti personali con pane e sigarette. Dopo l’appello venivamo portati a Lipsia, inquadrati nuovamente in piazza  dove venivamo prelevati dalle varie ditte e impiegati per i lavori più umili e faticosi tra i quali c’era lo sgombero delle macerie; c’è da dire che alcuni padroni delle ditte ci davano qualcosa da mangiare, non troppo però, per evitare punizioni da parte dei soldati; la sera venivamo riportati al campo.
Ogni baracca aveva un capo baracca, solitamente uomini troppo avanti con gli anni per servire nell’esercito, nel mio caso era un ex maresciallo della WH, dai modi bruschi. Negli ultimi mesi di guerra i guardiani, che furono richiamati alle armi per la difesa della Germania, furono sostituiti dalle Kapo donne che umiliavano i prigionieri, ormai stremati,  con frustate e calci. Ci facevano aspettare per ore  al freddo e sotto la neve l’arrivo del comandante del campo e ogni tanto qualcuno cadeva svenuto e portato in infermeria. Non ci fu mai nessun tentativo di fuga dal campo, eravamo troppo deboli.

La liberazione
Pochi mesi prima della fine delle ostilità fummo trasferiti, via treno, nella foresta delle Ardenne dove fummo impiegati nella costruzione di trincee e opere difensive tedesche. Ci trovavamo,in questa situazione, tra i fuochi dei due eserciti. Dopo qualche giorno ci fu la controffensiva americana, i tedeschi si ritirarono e fummo liberati. Gli americani distribuirono ,frettolosamente, cibo al quale non eravamo  più abituati e ciò causò la morte di alcuni internati. Seguì quindi un  periodo di quarantena ,dopo il quale,  fummo liberati e rimpatriati via treno fino a Terni, io proseguii a piedi e con mezzi di fortuna fino ad Onna dove trovai la notizia della fucilazione  di mio  fratello ,Evangelista Antonio, (ancora minorenne 18 anni -2 giorni)da parte dei tedeschi l’11 giugno del 1944 (martirio di Onna).  Dopo un paio di mesi tornò a casa  l’altro mio  fratello, Massimo Evangelista ,catturato dagli inglesi ad El Alamein anni prima.


venerdì 7 ottobre 2011

Miles Forum

Pubblico per gli appassionati di storia e uniformologia il link di un interessantissimo Forum, sullo stesso si trovano molti pezzi della mia collezione, è inoltre frequentato dalle più autorevoli firme in fatto di storia militare italiana!



sabato 24 settembre 2011

Testimonianza del Sig. Francesco Lavarra, Bombardamento alleato su Taranto

Testimonianza del sig. Francesco Lavarra, all'epoca spensierato bimbo tarantino:

"Quando ci fu il bombardamento,io e mia sorella ci trovavamo all'asilo delle suore del Sacro Cuore. Mia madre,da via Mazzini 191,si precipitò verso di noi e la bomba la sfiorò esplodendo a poca distanza. Mia madre raccolse questa scheggia rovente e la conservò per ricordo"

Scheggia di bomba sganciata su Taranto da aereo inglese in località "Tre Carrare" in ora diurna.


Ricerche in atto per risalire alla data esatta del bombardamento.

venerdì 23 settembre 2011

Marinaio Rocco Arena, classe 1921 - Mediterraneo Orientale

La Nave Avviso Veloce "Diana"


Oggi è arrivata la lettera  del Commisariato Generale  Onoranze Caduti in Guerra in risposta ad una mia richiesta per conoscere gli eventi che causarono la dipartita del mio prozio. Ecco un estratto:

"Le comunico che, agli atti  di questo Commissariato Generale, il Marinaio Rocco ARENA risulta disperso nel Mare Mediterraneo Orientale, dal 29 giugno 1942, in seguito all'Affondamento  dell'imbarcazione "Diana" su cui prestava servizio..."

 
Il Monumento ai Caduti del Comune di Scilla

L'episodio in riferimento è il seguente:
Alle 11.25 del 29 giugno 1942, mentre era in navigazione alla volta di Tobruk con a bordo, oltre all’equipaggio, 4 ufficiali e 293 tra sottufficiali (in maggioranza) e marinai del Corpo Reali Equipaggi Marittimi (si trattava del personale del Comando Marina di cui era prevista la ricostituzione a Tobruk, città di recente riconquistata dalle forze dell’Asse) il Diana fu avvistato dal sommergibile britannico Thrasher, ad otto miglia di distanza, in posizione 33°21’ N e 23°20’ E. Alle 11.44 il Thrasher lanciò sei siluri da circa 550 metri di distanza: colpito da due o quatto siluri (il sommergibile inglese rivendicò infatti non meno di quattro armi a segno), il Diana s’inabissò rapidamente nel punto 33°30’ N e 23°30’ E (75 miglia a nord del Golfo di Bomba, in Cirenaica), trascinando con sé i tre quarti degli uomini a bordo. Alcune motosiluranti di scorta, dopo aver infruttuosamente attaccato il Thrasher, prestarono i primi soccorsi.

Fonte Wikipedia  
http://it.wikipedia.org/wiki/Diana_%28avviso%29






mercoledì 21 settembre 2011

Carabiniere Carmine Attilio Giardinelli , classe 1923 - Fronte russo

Il seguente articolo è frutto di una mia intervista al Sig. Giardinelli risalente a quando ero suo inquilino, la stessa intervista, con piccole modifiche e aggiunte, è già da tempo on line in un altro sito che si occupa della Campagna di Russia, da questo sito ho tratto la foto che postato.
Carabiniere A.C.Giardinelli 3°Plotone 2^ Compagnia

L’Addestramento
I primi di agosto 1942 fui destinato al XXVI Battaglione CCRR al centro di mobilitazione di Bologna, qui ricevetti l’addestramento necessario ad affrontare le fatiche che avremmo trovato una volta in Russia.
 La caserma nel centro di Bologna era composta da varie camerate, piuttosto scomode in verità, i letti altro non erano che teloni da tenda ripieni di paglia, quindi in pratica dormivamo per terra,ma nessuno di noi si sarebbe lamentato se avesse saputo effettivamente quello che gli aspettava.
Una volta alla settimana affrontavamo una marcia forzata di 40 Km con l’equipaggiamento completo che gravava sulle spalle ( circa 40 Kg); gli altri giorni invece delle marce eravamo impegnati negli addestramenti presso il poligono di tiro. Il rancio veniva confezionato nella caserma e consumato nelle gavette, queste avevano una capienza di due litri…ma non mi ricordo di averne vista mai una completamente piena.
La Partenza e il Viaggio
In quella caserma siamo rimasti circa al 20 settembre del ’42 dove fummo inquadrati con tutta l’attrezzatura necessaria per la campagna di guerra, con la banda in testa alle colonne arrivammo alla stazione ferroviaria di Bologna ( Piccola velocità)
Arrivati sul posto delle  Giovani Fasciste ci distribuirono sigarette e altri generi come cioccolata e caramelle. Fummo alloggiati su carri bestiame sui quali vi era la scritta: “cavalli otto - uomini quaranta” all’interno dei quali vi erano solo delle panche e una stufa a carbone. La notte del 20 settembre partimmo per raggiungere il fronte Russo il percorso che il treno seguì fu il seguente: Bologna-Verona-Bolzano (dove ci venne distribuita frutta , e ci furono donati ancora alcuni pacchetti di  sigarette) e proseguimmo per il Brennero dove la sera del 21 settembre lasciammo l’Italia,  da li raggiungemmo Innsbruk procedendo quindi verso Vienna dove rimanemmo fermi per un intera giornata.
Il rancio giornaliero era composto da un pacco di gallette per militare e una scatola da 250 grammi di carne da dividere tra due militari. Dal momento in cui lasciammo l’Italia ogni qualvolta il treno si fermava, in qualsiasi punto, l’ordine era di far scendere dal carro due militari armati per ogni carro, ciascuno da un lato per scongiurare un eventuale attacco al treno da parte dei partigiani.
Da Vienna proseguimmo verso Praga allora capitale della Cecoslovacchia da qui proseguimmo per Leopoli (29 sett.1942 ?) lungo il tragitto la popolazione  ci venivano incontro per avere sigarette e altri generi in cambio di patate, da Leopoli dove fummo fermi una giornata proseguimmo per Kiev dove arrivammo la notte, il treno avrebbe dovuto proseguire attraversando il ponte sul Dnieper, ma dovette arrestarsi e tornare in stazione perché i partigiani avevano minato il ponte facendone saltare una parte, rimanemmo fermi due giorni nei quali i Tedeschi ripararono il ponte, la sera verso le 22:00 proseguimmo per Karkov da la ancora per Kupiansk (la notte del 7 ott. 1942) dove il treno, la notte del 7 ottobre 1942,  si fermò, poiché la ferrovia terminava.
Rimanemmo a Kupiansk accampati in una casa fuori dal paese e fummo  impiegati nel sorvegliare un ponte ferroviario fatto saltare anche esso dai partigiani e riparato in seguito dai Tedeschi.
Dopo circa 15 giorni partimmo per Starobelsk dove fummo impegnati per difendere le linee ferroviarie, stazioni e ponti della zona (alloggiando nei carri ferroviari) In una mattina intorno al 20 di dicembre fummo avvertiti da un nostro motociclista di rientrare subito a Starobelsk, li ci fermammo due giorni e il 23 dicembre fummo trasferiti su camion a Belowodsk , da dove raggiungemmo il  fronte che distava circa 30 Km.

Attività al fronte
Qui combattemmo in prima linea in aperta campagna, la mattina del 26 il Carabiniere Santucci Luigi fu colpito alla testa da un proiettile e morì mentre il S.Tenente Orsini (o Ursini) fu ferito ad una gamba. Lo stesso giorno occupammo il paese di Kurjatsckjewka , le truppe tedesche combattevano sul lato destro del fronte in un settore separato da quello delle truppe italiane, i combattimenti in genere si svolgevano lungo le strade  e nei paesi, in aperta campagna non era possibile transitare o combattere perché c’era uno strato di neve alta un metro.
 In quella zona del fronte si faceva  perlopiù guerra di trincea intervallato da qualche sporadico attacco, solo i Russi, con i mezzi corazzati, di notte facevano delle puntate tornando velocemente indietro, in una di queste occasioni venne falciato il plotone comandato dal Maresciallo Attolini.  La casa dove i Carabinieri alloggiavano fu colpita da una cannonata e i militi fuoriusciti furono uccisi a fucilate, si salvarono in questa occasione due carabinieri che vennero presi prigionieri, un militare riuscì a fuggire mentre era in fila per essere fucilato e un altro Carabiniere addetto al trasporto della canna  della mitragliatrice modello “Breda” 37 tentò con successo la fuga  facendo ritorno a piedi al comando del Battaglione e avvertì dell’accaduto.

Nei primi di gennaio ci portarono a far servizio lungo una strada che andava verso il fronte per evitare che i russi  piazzassero delle mine in modo di impedire il passaggio dei mezzi corazzati tedeschi, detta strada si trovava nella zona neutrale del fronte,vi era un dosso dietro il quale vi erano i Russi.
il 6 gennaio il Capitano Masella Tommaso, comandante della Compagnia, venne ad ispezionarci, era una giornata di sole guardando verso il dosso notai un oggetto scuro a distanza di circa 200 m che si muoveva, spinto dalla curiosità percorsi  carponi il fossato che fiancheggiava la strada aggirando l’oggetto scuro che si rivelò essere in binocolo di due  graduati Russi in tuta mimetica invernale che ci stavano spiando,  intimai loro la resa e li condussi prigionieri dal Capitano. Quando raggiunsi il Capitano con i prigionieri, i Tedeschi pretendevano che i prigionieri gli fossero consegnati e per poco non si venne alle armi, a questo punto il Capitano fece salire sul camion che era li presente i due prigionieri e due Carabinieri di scorta.
In questa occasione il Capitano Masella prese gli appunti del caso per fare una proposta di ricompensa al sottoscritto.
 Da qui partimmo verso un altro paese rimanendo sempre in prima linea dove c’erano anche i Tedeschi  (verso il 7 -8 gennaio del 1943) il nostro compito era quello di sentinelle, il servizio di sentinella era diviso in un ora di guardia e un’ora di riposo in un’abitazione questo a causa dl freddo; ricoprimmo questo incarico fino alla data del 17 gennaio del 1943.

La Ritirata
 La mattina del 17 i Tedeschi cominciarono a ritirarsi, noi siamo rimasti a presidiare il paese fino alla sera( ore 22:00).
Nel pomeriggio i russi cominciarono a sparare e alle ore 22 del 17 arrivò un camion, uno SPA38, per portarci via. Senonché il camion si fermò, non ne voleva sapere di ripartire. , i Russi facevano un continuo fuoco, a questo punto i militari tentarono di farlo ripartire spingendolo, allora io ed  il carabiniere Di Prizito Emilio con le armi in dotazione ed un fucile mitragliatore e un Parabellum requisito ai Russi rispondemmo al fuoco per far credere ai Russi che nel paese vi era ancora resistenza, nel frattempo misero nuovamente in moto il camion e così ripartimmo alla volta del Comando Battaglione.
Arrivati a Beldowodsk con lo stesso camion ripartimmo alla volta di Starobesk ma il camion si fermò nuovamente lasciandoci appiedati e da qui fummo costretti a marciare verso Kupiansk quindi verso Karkov, da qui sempre in marcia ci dirigemmo verso Haktirk , Romn e via via tutti i paesi fino a Gomel dove fummo impegnati nello scovare gruppi di partigiani nascosti in un bosco vicino, da qui verso Klinzi punto di raccolta  delle truppe italiane in ritirata. Il vitto ci veniva offerto  dalle famiglie russe che ci ospitavano la sera nei villaggi. Durante la ritirata a piedi incontrammo il Generale Comandante delle Forze italiane in Russia Gariboldi che ci salutò lasciandoci poco dopo  dicendoci di marciare inquadrati durante la ritirata; nevicava tutti i giorni e le bufere di neve ci coglievano  impreparati rendendo la marcia  difficoltosa essendoci il più delle volte neve alta fino al ginocchio.
A Klinzi rimanemmo circa due mesi prima di ritornare nuovamente a Gomel dove prendemmo il treno per Minsc e finalmente quello per l’Italia.

Nuovamente in Italia
Giungemmo a Tarvisio e poi a Bologna al centro di mobilitazione dove fui destinato alla legione di Ancona la quale legione mi destinò a Pescara dove rimasi circa un mese e mezzo, in seguito fui mobilitato e trasferito nuovamente ad Ancona nel Nucleo Difesa Costiera durante questo incarico mi ammalai di paratifo e fui ricoverato all’ ospedale Piazza d’Armi dal mese di agosto  fino a novembre, dopodiché trascorsi la convalescenza a Chieti. Nel mese di Giugno del 1944 mi ripresentai al Comando, fui destinato dapprima a Teramo e poi a Livorno per prestare servizio di vigilanza assieme agli Americani agli oleodotti che dal porto di Livorno arrivavano fino al fronte.


L’equipaggiamento 
Era costituito da scarpe militari inadeguate al clima russo sopra alle quali erano avvolte fasce di colore grigio-verde fin sotto il ginocchio, l’unico indumento valido era il cappotto  foderato di pelliccia datoci in dotazione in Russia, eravamo  male armati con  moschetti 91/38 a ripetizione con baionetta, sprovvisti di pistola che veniva data in dotazione solo a coloro che adoperavano armi automatiche.
Molto spesso accadeva che le armi si inceppassero poichè il grasso che le avrebbe dovute lubrificare si ghiacciava rendendole inservibili dopo il primo colpo 
Cibo  
Rancio giornaliero: cattivo e scarso, composto da un pacco di gallette al giorno e una scatoletta di carne da 250g da dividere tra due militari. Il rancio che raramente veniva preparato consistevà il più delle volte in una minestra di cicorie secche ed una manciata di riso.