domenica 10 marzo 2013

Geniere Leonardo Carone, classe 1921

il seguente racconto è opera dell'amico e collega Leonardo Carone.


Un capitolo della battaglia dei convogli. Laffondamento di Oceania e Neptunia.



Il Geniere Leonardo Carone




 16 settembre dell’ anno XIX E.F. (1941) , dal porto di Taranto tre grosse unità stanno imbarcando truppe e materiali per il fronte africano. Pronte a salpare ci sono tre delle più moderne navi della Regia Marina, capaci di raggiungere una velocità di 20 nodi; sono le motonavi Vulcania , con una stazza di 24500 tonnellate e le gemelle Neptunia ed Oceania, di 19500 tonnellate ciascuna. Ben cinque cacciatorpediniere fanno da scorta: Nicoloso Da Recco, Antonio Da Noli, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare ed il più recente Vincenzo Gioberti.


Mi sembrava di essere li, al fianco di mio nonno, Geniere Leonardo Carone , classe 1921, pronto a salire su quella nave, l’ Oceania. Tra le storie ed avventure di guerra che mi raccontava questa era la mia preferita.


Le voci che trapelavano sul viaggio non erano rassicuranti. Si diceva che gli inglesi li attendessero al varco. Per tale motivo le indicazioni erano di tenere una rotta ad una distanza sempre superiore alle 120 miglia ad est di Malta, oltre il raggio d’azione degli aerosiluranti della RAF in postazione sull’ isola.
“Rimasi sul ponte a vedere la partenza, le luci del porto di Taranto che si allontanavano. Guardavo in basso il mare, nero, profondo, pensando al fatto che non sapessi nuotare, ma la nave era così grande che dava un senso di sicurezza. Molti soldati, sia tedeschi che italiani rimasero sul ponte col giubbetto di salvataggio anziché scendere nelle cuccette . Io presi posto nella cuccetta nella cabina N° 557; con i camerati giocammo un po’ a carte, si rideva, il viaggio proseguiva nel migliore dei modi. Sistemai a portata di mano il giubbotto salvagente, rimasi vestito e mi stesi sul lettino anche se non riuscii a dormire”.
Durante viaggio gli incrociatori Da Noli e Gioberti effettuano a scopo dissuasivo dei lanci di bombe di profondità. Sono lanci alla cieca per tenere lontani possibili avvicinamenti dei sottomarini inglesi.
18 settembre. Mancano poche ore di navigazione per raggiungere Tripoli, ma alle 04:06 di mattina un forte boato squarcia il silenzio. Il Neptunia viene colpita da un siluro. 



Affondamento dell' Oceania

Affondamento dell’Oceania



“ Sentii una forte esplosione che non potrò mai dimenticare, il cuore iniziò a battere forte ed ancora di più quando sentii il suono del secondo siluro che si avvicinava e che purtroppo andò a segno anche sulla mia nave, l’ Oceania. Quel suono terribile, come un fischio prima dell’esplosione, che si faceva sempre più forte non lo si può descrivere. Mi precipitai sul ponte di coperta. L’allarme suonava ed il capitano diceva a tutti che la situazione era sotto controllo, di indossare i giubbotti di salvataggio e di rimanere sul ponte. La nave non aveva riportato danni particolari, ma imbarcava acqua. Mi accorsi, guardando come riferimento le linee mimetiche disegnate sul fianco della nave che pian piano stavamo affondando verso poppa”.
I convogli mantennero una rotta tale da portarli a una distanza da Malta superiore all'autonomia dei velivoli nemici basati sull'isola, tuttavia, il dispositivo di contrasto della Royal Navy comprendeva anche i sommergibili Unbeaten, Upright, Upholder e Ursula dislocati a levante di Tripoli, sulla direttrice del 15° meridiano Est. I quattro sommergibili inglesi formarono una linea trasversale rispetto la rotta più probabile dei trasporti italiani. Fu proprio l'Upholder - posto al comando del celebre Lieutenant-Commander David Wanklyn, a far partire una salva di 4 siluri lanciati a ventaglio che raggiunsero sia l'Oceania che il Neptunia
Immediatamente dal Da Recco, caposcorta (capitano di vascello Stanislao Esposito) partì l'ordine al cacciatorpediniere Usodimare ed al Vulcania di proseguire, mentre le altre navi avrebbero prestato soccorso ai piroscafi colpiti. 

Affondamento del Neptunia

Affondamento del Neptunia
Il Neptunia affondava più velocemente, continuava ad accostare sulla sinistra; era stato colpito sotto la chiglia all'altezza della stiva n°4, con le motrici principali ferme, senza energia elettrica e con il timone bloccato. Alle 06:50 colò a picco con la poppa in verticale. L’ Oceania benché con i propulsori completamente fuori uso non era del tutto condannata. “Il capitano continuava a dire di mantenere la calma”. Decise di trasbordare le truppe sul cacciatorpediniere Pessagno, riuscendo già entro le 7.30 a mettere in salvo 2000 uomini . Frattanto il sommergibile Upholder che non si era allontanato troppo dalla zona se non quanto bastava per sfuggire ad un’eventuale caccia da parte della scorta, riuscì a lanciare una coppia di siluri contro l'Oceania, proprio nel delicato momento in cui questo stava per essere trainato;
“Il capitano gridò: - si salvi chi può! Mi calai in mare e fui aiutato dai tedeschi che mi fecero salire su una zattera in attesa di essere recuperati dal cacciatorpediniere”.
Alle 08.57, a 60 miglia nautiche dal porto di Tripoli, il mare si chiude anche sulla sfortunata Oceania.
Sulle due navi erano imbarcati 5818 militari: le vittime furono 384.
Mio nonno fortunatamente si salvo e proseguì la sua avventura nel Nordafrica per poi continuare a prestare il suo servizio durante la guerra di liberazione nella 51ₐ compagnia teleradio nel gruppo di combattimento Legnano. Le sue storie rimarranno sempre indelebili nei miei ricordi.




venerdì 2 marzo 2012

Sottocapo Cannoniere P.S.M. Ugo Seidenari, classe 1917 - Battaglia di Punta Stilo

 Per la seguente storia devo ringraziare la Signora Monica Montano, per la gentilezza e la disponibilità con le quali mi ha fornito il dettagliato resoconto delle ultime ore del Marinaio in questione e per aver messo a disposizione l'uniforme dello stesso.


Ugo Seidenari nacque a Pordenone, in Friuli, il 7 novembre del 1917, ultimo di dieci fratelli e sorelle, perse la madre poco dopo la sua nascita. Cresciuto dalla sorella Elisa che le trasmise l’amore per la lettura, crebbe sereno, ma con un unico sogno entrare a far parte degli equipaggi della Regia Marina. Pochi mesi dopo il suo diciottesimo compleanno, lasciò la casa paterna, alla volta di Genova dove si arruolò (primi mesi 1936). In qualità di volontario venne inviato alla Scuola Corpi Reali Equipaggi Marittimi (C.R.E.M.) di Pola come allievo Cannoniere.  Alla fine del 1936 terminato il corso di specializzazione, con la qualifica Cannoniere Puntatore Scelto Mitragliere, finalmente era quello che aveva sempre sognato di essere un Marinaio. Prima destinazione d’imbarco Genova su Nave da Battaglia Giulio Cesare (Corazzata) che stava ultimando i lavori di ammodernamento.
Allo scoppio della guerra l’Unità era in Albania, rientrò a Taranto e venne inquadrata nella V divisione diventando l’Ammiraglia della Flotta. A bordo l’ormai Sottocapo Ugo Seidenari, oltre a svolgere gli incarichi propri della sua categoria, aveva l’incarico di postino di bordo.
Ugo era un Puntatore Scelto, e all’inizio di quella, che sarà ricordata come la Battaglia di Punta Stilo, era al suo posto, sul seggiolino di una delle otto 37/54 mm poste sul lato dritto, (centro nave nei pressi dei fumaioli). Nel primo pomeriggio un attacco di aerei siluranti e bombardieri aveva impegnato le batterie contraeree, con l’abbattimento di cinque velivoli britannici, ma era solo l’inizio.
Inizia la battaglia scambi di colpi tra le navi da battaglia da entrambi gli schieramenti, da subito i colpi del Cesare inquadrano il bersaglio, anche grazie alla maestria del primo direttore del tiro Giulio Cipollini, (campione della Squadra Navale di tiro d’artiglieria), il tiro dei 320 mm è efficace, e danneggia due caccia Britannici, (Hereward e Decoy).

 
 I Britannici mettono a segno un colpo proprio sul Giulio Cesare un proietto da 381 mm “inciampa” sul fumaiolo di poppa, lo oltrepassa da dritta a sinistra ed esplode sul ponte di tuga investendo la torre del medio calibro incendiando la casamatta dell’impianto, danneggiando i condotti della nafta, causando lo spegnimento di quattro delle otto caldaie, la velocità scende di colpo da 25 a 17 nodi.
Nell’imediato si contano 45 morti 60 feriti gravi, l’incendio divampa, le squadre di soccorso e anti incendio lo combattono, per allontanare le fiamme dalle riservette, se esplodessero sarebbe la fine anche per i soccorritori e per la nave.
Di tutto questo il Cannoniere Seidenari è spettatore, il colpo nemico è passato sopra la sua testa, è dall’altro lato della nave, nessuno gli chiede di fare nulla se non rimanere al proprio posto la sua postazione è intatta.
A questo punto lascio la descrizione degli ultimi momenti di vita del Sottocapo Seidenari alle parole riportate dette ad alcuni suoi amici da Capo Minerbi, “Quand’è arrivato il colpo Ugo era con lui (Capo Minerbi) sul lato dritto, era salvo, poteva starsene li dov’era, invece, ha lasciato il seggiolino della mitragliera per guardare sull’altro lato. Ha gridato <<Le riservette>> e prima che riuscissero a fermarlo ha preso un paglietto, e si è messo a correre, se buttato sopra il cassone che le fiamme attaccavano. Era al centro del fuoco e picchiava sul cassone per scaricare a mare le munizioni.” E’ l’ultima immagine del Sottocapo Seidenari che hanno i suoi amici, i quali lo ritroveranno a terra sul ponte di tuga insieme ad altri quattro corpi.
Verrà riconosciuto dal suo piastrino, e dalla medaglietta d’oro regalo della sorella Elisa con una madonna e la scritta “Ti protegga sempre”.
Per questo atto Il Sottocapo Cannoniere P.S.M. Ugo Seidenari è stato decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare e Croce di guerra.
A Messina vennero officiati funerali solenni, per le 72 vittime, attualmente il Sottocapo Cannoniere Ugo Seidenari riposa nel Sacrario di Staglieno Genova. 
Messina - I Funerali dei Caduti di Punta Stilo
 
Nota:
Ugo Seidenari,  parlando dell’imminente scontro con un amico, disse: “Il Comandante ha detto che una battaglia navale moderna dura al massimo un’ora. A conti fatti ogni cosa dovrebbe essere liquidata per le cinque. Chi arriva sano e salvo alle cinque di questa sera è a cavallo.”
L’amico che raccolse questa affermazione, è lo stesso che lo ritrovò cadavere sul ponte di tuga, e ricordando le sue parole guardò l’orologio, erano da poco trascorse le cinque.

L'uniforme di Ugo Seidenari


lunedì 20 febbraio 2012

Tenente Alfani Ernesto, classe 1881 - 8° Artiglieria da Fortezza di Osoppo.


Ernesto Alfani , figlio di Vincenzo ed Elvira Nini, nacque  il 24 marzo 1881 a Napoli .


Il 6 maggio 1915 viene nominato Sottotenente di Milizia Territoriale Arma di Artiglieria da Fortezza ed assegnato all’8° Reggimento Artiglieria da Fortezza con l’obbligo di prestare in questo il prescritto servizio di prima nomina.
 
Fu destinato al Deposito dell’ 8° Artiglieria da Fortezza  di Osoppo.
 
Il 5 marzo 1918, con la 251° Batteria assedio 84° gruppo partecipa ad un corso per Ufficiali di Artiglieri presso la 10a Armata Francese. Il 16 maggio 1918 viene promosso Tenente e destinato alla 26a Batteria d’Assedio, da qui al 59° raggruppamento Assedio e quindi alla 424a Batteria del  136° Gruppo Assedio.  Collocato in congedo il 7 febbraio 1919.
 
Dopo la prima guerra mondiale riprese il suo incarico di Preside nei Reali Licei, in Italia e presso la scuola italiana di Tangeri in Marocco.
Fino alla sua morte avvenuta il 14 agosto del 1942 fu ufficiale nella Di.C.A.T., la Difesa Contraerea Territoriale della MVSN nella quale arrivò a ricoprire il grado di Seniore ,corrispettivo di Maggiore nel Regio Esercito.
 

giovedì 9 febbraio 2012

MBVM Giovanni Battista Acanfora, classe 1905

Una foto del Capitano che indossa l'uniforme mod. 902 con le mostrine del 9° Reggimento "Regina"
Il seguente resoconto è tratto da un libretto  che la famiglia del defunto Ufficiale fece stampare per tramandare ai posteri le gesta di questo coraggioso. Libretto che ho avuto la fortuna di recuperare assieme ad una sua uniforme.
Giovan Battista Acanfora nacque a Militello, in Sicilia, il 25 ottobre del 1885, suo padre era un Ricevitore del Regno e, per seguire il padre nel suo ufficiò, si trasferì con il resto della famiglia  a Taranto.
Ancora in giovane età perse l’affetto del padre e,ormai a guida della numerosa famiglia, condusse  virtuosamente i propri studi ,dai quali aveva come unica distrazione quella di simulare antiche battaglie con isoldatini di piombo e  di combattere scherzosamente in compagnia dei propri amici che spesso comandava come piccolo ufficiale.
Sempre a Taranto consegui il diploma liceale presso l’istituto “Archita”, nel 1905 si iscrisse all’Accademia Militare di Modena dalla quale, nel 1907, uscì col grado di Sottotenente, e destinato al 29° Reggimento Fanteria.
Prestò servizio, distinguendosi, durante il terremoto calabro-siculo del 1908 e durante l’epidemia colerica a Barletta. Il 31 dicembre del 1910 fu promosso Capitano e con questo grado gli furono assegnati incarichi di responsabilità che lo videro  ufficiale della compagnia di disciplina a Francavilla Fontana e poi  comandante delle carceri militari di Piacenza e Bari.
Allo scoppio della guerra in Europa si trovava a  Taranto, presso il 9° Reggimento Fanteria “Regina”  e, pur non essendo attivo  nel promuovere l’intervento  dell’Italia in quello che sarebbe divenuto il primo conflitto mondiale, cosa che il suo incarico gli impediva, non nascondeva le proprie idee irredentiste.

L'uniforme del Cap. Acanfora

Celando un difetto organico, che gli avrebbe permesso di essere esonerato dalle fatiche di guerra,  partì con il 139° Reggimento per il fronte.
Giunse l’ordine di espugnazione  del San Michele. Il 139°, che stava nelle retrovie,  doveva passare agli avamposti per  appoggiare altri reggimenti, che già si erano impegnati nella mischia. Dopo tre giorni di marcia, senza che il reggimento fosse adeguatamente rifornito, il Capitano Acanfora giunse a destinazione.
All’alba del 25 luglio del 1915 il 139° , senza aver riposato, entrò in azione, il Capitano Acanfora con la sua compagnia operò nel primo assalto alle trincee austriache. 

Quanto segue è tratto dal resoconto della battaglia narrato dai testimoni e riportato nel libretto commemorativo sopra citato:

Ferito la prima volta al braccio destro passò l’arma alla mano sinistra , come asseriscono o testimoni del suo valore, e continuò ad eccitare i soldati alla gloria ed alla pugna. Il suo eroismo fu domato, ma non vinto, da una palla a scoppio usata dai calpestatori delle leggi internazionali, palla che, avendolo colpito  alla coscia destra, circa dieci centimetri sopra la rotella del ginocchio, produsse tale frattura dell’arto, che l’eroico Capitano cadde, per non più rialzarsi. Alcuni suoi Soldati cercarono di trarlo da quel luogo divenuto infernale, per condurlo al più vicino posto di medicazione, che  era però ben lungi, laggiù, a valle, ma Egli non volle e preferì che i suoi lo vendicassero, piuttosto che si sottraessero alla mischia.
E “qui bisogna coprirsi di gloria  o morire tutti” furono le sue incoraggianti ultime parole. La mischia durò per altre lunghe ore, micidiale, e, quando alla sospensione del fuoco le barelle dovevano raccogliere i feriti, GIOVANNI ACANFORA, che aveva baciato la bandiera prima che questa da lui si allontanasse, fu trovato cadavere, con il volto atteggiato, non a terrore, ma a sorriso, come se lieto fosse rimasto della sua fine.

La seguente è, invece, la motivazione con la quale fu decorato della Medaglia di Bronzo al Valor Militare:

Dopo tre giorni di azioni di fuoco, compiute dalle trincee, condusse con slancio ed ardimento la sua compagnia all’assalto delle posizioni nemiche. Cadde valorosamente, alla testa del reparto, sul ciglio della posizione conquistata.
Monte S. Michele, 26 luglio 1915

La morte del Capitano Acanfora fu accolta  a Taranto, sua città d’adozione, con vero cordoglio, il suo nome venne inciso sulla lapide del Liceo “Archita” insieme a quelli degli studenti caduti sui campi di battaglia.
Molti anni dopo la città lo onorò intitolando a lui un istituto scolastico, ancora oggi esistente, ed una piazza.

venerdì 16 dicembre 2011

Sottotenente De Pasquale Giuseppe, classe 1904

Di seguito riporto i cenni riassuntivi della carriera militare del mio Bis-nonno,  Prof. Giuseppe De Pasquale; più delle notizie,tratte dal foglio matricolare dell’Ufficiale, e pertanto povere dal punto di vista descrittivo, molto più evocative sono le numerose foto che ho ereditato, pubblico in questa pagina le più  significative.
154a Legione CC.NN in Africa Settentrionale

Il 26/08/1939 è mobilitato , per esigenze  speciali, nella 154° Legione CC.NN, con la quale legione parte in Africa Settentrionale dove frequenta con esito positivo il corso Allievi Ufficiali di Complemento di Fanteria presso il 115° Reggimento a Derna.


Inbarcatosi il 27 aprile 1940 a Derna sbarca a Siracusa il 30 dello stesso mese, il 1° maggio 1940 viene posto  in congedo presso il distretto militare di Taranto.
Il Primo giugno 1940 viene nominato Sottotenente di Complemento e destinato, il 13 dicembre, per il servizio di prima nomina, al deposito 48°Reggiemento Fanteria “Ferrara”  in Bari, un mese dopo è ricollocato in congedo per ultimato servizio di prima nomina.
il STen. De Pasquale con l'Uniforme mod. 34 del 48°Reggimento "Ferrara"

Il 25 giugno del 1942 viene richiamato alle armi  d’autorità presso il Comando Difesa Territoriale di Bari , il 10 luglio  del 1942 viene trasferito alla Censura Militare di Bari e assegnato al Reparto Censura del comando della Divisione “La Spezia”, il 14 novembre viene trasferito alla Censura Militare di Guerra di Gorizia.


Gorizia
Il STen. De Pasquale con l'Uniforme mod. 40 del Reggimento "La Spezia"

Foto ricordo inviata dal STen. De Pasquale alla mia Bis-Nonna Isa
Sottrattosi , dopo l’ 8 settembre 1943, alla cattura  in territorio metropolitano occupato dalle truppe tedesche tenta di congiungersi ad un Comando italiano. In seguito alla liberazione del Veneto da parte delle truppe alleate raggiunge Taranto dove si presenta al proprio distretto di appartenenza.

Il STen. De Pasquale con la famiglia

mercoledì 2 novembre 2011

Soldato Evangelista Natalino, Classe 1923 - 9° Reggimento Regina, Rodi

Intervista del  23 ottobre 2011




Addestramento
Nel gennaio del 1943 ricevetti il primo addestramento  a Catanzaro, l’esperienza durò un paio di mesi, passati i quali, fui trasferito a Ponte Cagnano (Salerno) per ulteriore istruzione militare. Ci fu distribuito vestiario pesante adatto ai climi rigidi della Russia, nostra iniziale meta, poi il capovolgimento degli eventi e la ritirata dell’ARMIR, ormai in rotta,  costrinse il Comando Generale ad assegnarci una nuova destinazione,  restituimmo l’equipaggiamento e ce ne fu consegnato di più leggero, consono al clima delle isole dell’Egeo.
Verso il mese di giugno ci imbarcammo da Brindisi sulla Regia Nave “Italia” in direzione di Rodi.

La Guerra
La divisione doveva presidiare l’Isola di Rodi, compito che svolgemmo assieme all’alleato tedesco con il quale i rapporti, fino all’8 settembre, furono sempre cordiali.

Dopo l’8 settembre
In quei giorni prestavo servizio di guardia presso il Comando Generale in Campo di Chiari; il giorno 9 arrivò un telegramma (si tratta del telegramma 24202 nda) in cui il Comando supremo dava confuse disposizioni in merito al comportamento da tenere nei confronti dell’ex-alleato, di fatto la Divisione era “…libera assumere verso germanici atteggiamento che riterrà più conforme at situazione…”  Seguirono, nei giorni successivi, furiosi e confusi combattimenti con i Tedeschi, aiuti delle truppe anglo-americane furono attesi inutilmente, e, nonostante alcune iniziali vittorie, l’Ammiraglio Campioni decise di arrendersi al Gen. Kleemann che si era recato a parlamentare al Comando italiano.

La deportazione e l’esperienza da IMI
In seguito alla resa i tedeschi radunarono gli ex-alleati, disarmati, nella piazza d’armi del Comando. Il primo mese lo trascorremmo a Rodi, sotto il comando tedesco. Dormivamo all’aperto, con qualsiasi condizione meteorologica, per mangiare ci si arrangiava, mangiavamo verdure ed erba cotta nell’acqua di mare insieme ad occasionali aiuti da parte dei civili, credo che siano passati anni prima che l’erba abbia ricominciato a crescere folta in quei luoghi; naturalmente era esclusa qualsiasi possibilità di comunicare con le nostre famiglie. In seguito, con aerovelivoli  Junker ,fummo trasportati nel Pireo, dove, per un mese, fummo impiegati come forza lavoro e utilizzati nel carico e scarico di casse di munizioni. Da qui, su tradotte per il trasporto del bestiame, in circa 60-70 uomini per vagone, fummo spostati, con un interminabile viaggio di 13 notti e 12 giorni, attraverso i Balcani, fino alla Germania. Giunti a destinazione fummo “parcheggiati” in un grande capannone, ci furono tolti i vestiti, fummo rasati “sopra e sotto” e così, nudi come vermi, fummo disinfettati con spennellate di creolina. Da quel momento diventammo IMI, internati militari italiani, qualifica che, a differenza di “prigionieri di guerra” ci rendeva utilizzabili nei lavori forzati, in barba alla convenzione di Ginevra. Fummo  portati, poi,  in un  campo di concentramento vicino Lipsia, lo IV Stamlager B di Mulberg  era all’incirca  novembre. Ogni mattina venivamo svegliati alle 5, e in fila per 5, anche sotto la neve, rispondevamo all’appello e venivamo contati, ogni giorno ci veniva chiesto se volevamo combattere al fianco dei tedeschi o aderire alla Repubblica Sociale; quando mi fu chiesto risposi che onoravo un unico giuramento, quello fatto al Re d’Italia, e rifiutai categoricamente, il soldato tedesco , allora mi disse, con fare arcigno: “molto coraggioso Italiano”.
Alle 11 ci veniva dato un mestolo di brodaglia (sciacquatura di marmitta) e un pezzo di pane nero fatto in gran parte di segatura di Betulla. Come facilmente intuibile, in quelle condizioni, fioriva il mercato nero: scambiavamo con gli inglesi del campo confinante anelli, cinte e piccoli oggetti personali con pane e sigarette. Dopo l’appello venivamo portati a Lipsia, inquadrati nuovamente in piazza  dove venivamo prelevati dalle varie ditte e impiegati per i lavori più umili e faticosi tra i quali c’era lo sgombero delle macerie; c’è da dire che alcuni padroni delle ditte ci davano qualcosa da mangiare, non troppo però, per evitare punizioni da parte dei soldati; la sera venivamo riportati al campo.
Ogni baracca aveva un capo baracca, solitamente uomini troppo avanti con gli anni per servire nell’esercito, nel mio caso era un ex maresciallo della WH, dai modi bruschi. Negli ultimi mesi di guerra i guardiani, che furono richiamati alle armi per la difesa della Germania, furono sostituiti dalle Kapo donne che umiliavano i prigionieri, ormai stremati,  con frustate e calci. Ci facevano aspettare per ore  al freddo e sotto la neve l’arrivo del comandante del campo e ogni tanto qualcuno cadeva svenuto e portato in infermeria. Non ci fu mai nessun tentativo di fuga dal campo, eravamo troppo deboli.

La liberazione
Pochi mesi prima della fine delle ostilità fummo trasferiti, via treno, nella foresta delle Ardenne dove fummo impiegati nella costruzione di trincee e opere difensive tedesche. Ci trovavamo,in questa situazione, tra i fuochi dei due eserciti. Dopo qualche giorno ci fu la controffensiva americana, i tedeschi si ritirarono e fummo liberati. Gli americani distribuirono ,frettolosamente, cibo al quale non eravamo  più abituati e ciò causò la morte di alcuni internati. Seguì quindi un  periodo di quarantena ,dopo il quale,  fummo liberati e rimpatriati via treno fino a Terni, io proseguii a piedi e con mezzi di fortuna fino ad Onna dove trovai la notizia della fucilazione  di mio  fratello ,Evangelista Antonio, (ancora minorenne 18 anni -2 giorni)da parte dei tedeschi l’11 giugno del 1944 (martirio di Onna).  Dopo un paio di mesi tornò a casa  l’altro mio  fratello, Massimo Evangelista ,catturato dagli inglesi ad El Alamein anni prima.