mercoledì 2 novembre 2011

Soldato Evangelista Natalino, Classe 1923 - 9° Reggimento Regina, Rodi

Intervista del  23 ottobre 2011




Addestramento
Nel gennaio del 1943 ricevetti il primo addestramento  a Catanzaro, l’esperienza durò un paio di mesi, passati i quali, fui trasferito a Ponte Cagnano (Salerno) per ulteriore istruzione militare. Ci fu distribuito vestiario pesante adatto ai climi rigidi della Russia, nostra iniziale meta, poi il capovolgimento degli eventi e la ritirata dell’ARMIR, ormai in rotta,  costrinse il Comando Generale ad assegnarci una nuova destinazione,  restituimmo l’equipaggiamento e ce ne fu consegnato di più leggero, consono al clima delle isole dell’Egeo.
Verso il mese di giugno ci imbarcammo da Brindisi sulla Regia Nave “Italia” in direzione di Rodi.

La Guerra
La divisione doveva presidiare l’Isola di Rodi, compito che svolgemmo assieme all’alleato tedesco con il quale i rapporti, fino all’8 settembre, furono sempre cordiali.

Dopo l’8 settembre
In quei giorni prestavo servizio di guardia presso il Comando Generale in Campo di Chiari; il giorno 9 arrivò un telegramma (si tratta del telegramma 24202 nda) in cui il Comando supremo dava confuse disposizioni in merito al comportamento da tenere nei confronti dell’ex-alleato, di fatto la Divisione era “…libera assumere verso germanici atteggiamento che riterrà più conforme at situazione…”  Seguirono, nei giorni successivi, furiosi e confusi combattimenti con i Tedeschi, aiuti delle truppe anglo-americane furono attesi inutilmente, e, nonostante alcune iniziali vittorie, l’Ammiraglio Campioni decise di arrendersi al Gen. Kleemann che si era recato a parlamentare al Comando italiano.

La deportazione e l’esperienza da IMI
In seguito alla resa i tedeschi radunarono gli ex-alleati, disarmati, nella piazza d’armi del Comando. Il primo mese lo trascorremmo a Rodi, sotto il comando tedesco. Dormivamo all’aperto, con qualsiasi condizione meteorologica, per mangiare ci si arrangiava, mangiavamo verdure ed erba cotta nell’acqua di mare insieme ad occasionali aiuti da parte dei civili, credo che siano passati anni prima che l’erba abbia ricominciato a crescere folta in quei luoghi; naturalmente era esclusa qualsiasi possibilità di comunicare con le nostre famiglie. In seguito, con aerovelivoli  Junker ,fummo trasportati nel Pireo, dove, per un mese, fummo impiegati come forza lavoro e utilizzati nel carico e scarico di casse di munizioni. Da qui, su tradotte per il trasporto del bestiame, in circa 60-70 uomini per vagone, fummo spostati, con un interminabile viaggio di 13 notti e 12 giorni, attraverso i Balcani, fino alla Germania. Giunti a destinazione fummo “parcheggiati” in un grande capannone, ci furono tolti i vestiti, fummo rasati “sopra e sotto” e così, nudi come vermi, fummo disinfettati con spennellate di creolina. Da quel momento diventammo IMI, internati militari italiani, qualifica che, a differenza di “prigionieri di guerra” ci rendeva utilizzabili nei lavori forzati, in barba alla convenzione di Ginevra. Fummo  portati, poi,  in un  campo di concentramento vicino Lipsia, lo IV Stamlager B di Mulberg  era all’incirca  novembre. Ogni mattina venivamo svegliati alle 5, e in fila per 5, anche sotto la neve, rispondevamo all’appello e venivamo contati, ogni giorno ci veniva chiesto se volevamo combattere al fianco dei tedeschi o aderire alla Repubblica Sociale; quando mi fu chiesto risposi che onoravo un unico giuramento, quello fatto al Re d’Italia, e rifiutai categoricamente, il soldato tedesco , allora mi disse, con fare arcigno: “molto coraggioso Italiano”.
Alle 11 ci veniva dato un mestolo di brodaglia (sciacquatura di marmitta) e un pezzo di pane nero fatto in gran parte di segatura di Betulla. Come facilmente intuibile, in quelle condizioni, fioriva il mercato nero: scambiavamo con gli inglesi del campo confinante anelli, cinte e piccoli oggetti personali con pane e sigarette. Dopo l’appello venivamo portati a Lipsia, inquadrati nuovamente in piazza  dove venivamo prelevati dalle varie ditte e impiegati per i lavori più umili e faticosi tra i quali c’era lo sgombero delle macerie; c’è da dire che alcuni padroni delle ditte ci davano qualcosa da mangiare, non troppo però, per evitare punizioni da parte dei soldati; la sera venivamo riportati al campo.
Ogni baracca aveva un capo baracca, solitamente uomini troppo avanti con gli anni per servire nell’esercito, nel mio caso era un ex maresciallo della WH, dai modi bruschi. Negli ultimi mesi di guerra i guardiani, che furono richiamati alle armi per la difesa della Germania, furono sostituiti dalle Kapo donne che umiliavano i prigionieri, ormai stremati,  con frustate e calci. Ci facevano aspettare per ore  al freddo e sotto la neve l’arrivo del comandante del campo e ogni tanto qualcuno cadeva svenuto e portato in infermeria. Non ci fu mai nessun tentativo di fuga dal campo, eravamo troppo deboli.

La liberazione
Pochi mesi prima della fine delle ostilità fummo trasferiti, via treno, nella foresta delle Ardenne dove fummo impiegati nella costruzione di trincee e opere difensive tedesche. Ci trovavamo,in questa situazione, tra i fuochi dei due eserciti. Dopo qualche giorno ci fu la controffensiva americana, i tedeschi si ritirarono e fummo liberati. Gli americani distribuirono ,frettolosamente, cibo al quale non eravamo  più abituati e ciò causò la morte di alcuni internati. Seguì quindi un  periodo di quarantena ,dopo il quale,  fummo liberati e rimpatriati via treno fino a Terni, io proseguii a piedi e con mezzi di fortuna fino ad Onna dove trovai la notizia della fucilazione  di mio  fratello ,Evangelista Antonio, (ancora minorenne 18 anni -2 giorni)da parte dei tedeschi l’11 giugno del 1944 (martirio di Onna).  Dopo un paio di mesi tornò a casa  l’altro mio  fratello, Massimo Evangelista ,catturato dagli inglesi ad El Alamein anni prima.