domenica 10 marzo 2013

Geniere Leonardo Carone, classe 1921

il seguente racconto è opera dell'amico e collega Leonardo Carone.


Un capitolo della battaglia dei convogli. Laffondamento di Oceania e Neptunia.



Il Geniere Leonardo Carone




 16 settembre dell’ anno XIX E.F. (1941) , dal porto di Taranto tre grosse unità stanno imbarcando truppe e materiali per il fronte africano. Pronte a salpare ci sono tre delle più moderne navi della Regia Marina, capaci di raggiungere una velocità di 20 nodi; sono le motonavi Vulcania , con una stazza di 24500 tonnellate e le gemelle Neptunia ed Oceania, di 19500 tonnellate ciascuna. Ben cinque cacciatorpediniere fanno da scorta: Nicoloso Da Recco, Antonio Da Noli, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare ed il più recente Vincenzo Gioberti.


Mi sembrava di essere li, al fianco di mio nonno, Geniere Leonardo Carone , classe 1921, pronto a salire su quella nave, l’ Oceania. Tra le storie ed avventure di guerra che mi raccontava questa era la mia preferita.


Le voci che trapelavano sul viaggio non erano rassicuranti. Si diceva che gli inglesi li attendessero al varco. Per tale motivo le indicazioni erano di tenere una rotta ad una distanza sempre superiore alle 120 miglia ad est di Malta, oltre il raggio d’azione degli aerosiluranti della RAF in postazione sull’ isola.
“Rimasi sul ponte a vedere la partenza, le luci del porto di Taranto che si allontanavano. Guardavo in basso il mare, nero, profondo, pensando al fatto che non sapessi nuotare, ma la nave era così grande che dava un senso di sicurezza. Molti soldati, sia tedeschi che italiani rimasero sul ponte col giubbetto di salvataggio anziché scendere nelle cuccette . Io presi posto nella cuccetta nella cabina N° 557; con i camerati giocammo un po’ a carte, si rideva, il viaggio proseguiva nel migliore dei modi. Sistemai a portata di mano il giubbotto salvagente, rimasi vestito e mi stesi sul lettino anche se non riuscii a dormire”.
Durante viaggio gli incrociatori Da Noli e Gioberti effettuano a scopo dissuasivo dei lanci di bombe di profondità. Sono lanci alla cieca per tenere lontani possibili avvicinamenti dei sottomarini inglesi.
18 settembre. Mancano poche ore di navigazione per raggiungere Tripoli, ma alle 04:06 di mattina un forte boato squarcia il silenzio. Il Neptunia viene colpita da un siluro. 



Affondamento dell' Oceania

Affondamento dell’Oceania



“ Sentii una forte esplosione che non potrò mai dimenticare, il cuore iniziò a battere forte ed ancora di più quando sentii il suono del secondo siluro che si avvicinava e che purtroppo andò a segno anche sulla mia nave, l’ Oceania. Quel suono terribile, come un fischio prima dell’esplosione, che si faceva sempre più forte non lo si può descrivere. Mi precipitai sul ponte di coperta. L’allarme suonava ed il capitano diceva a tutti che la situazione era sotto controllo, di indossare i giubbotti di salvataggio e di rimanere sul ponte. La nave non aveva riportato danni particolari, ma imbarcava acqua. Mi accorsi, guardando come riferimento le linee mimetiche disegnate sul fianco della nave che pian piano stavamo affondando verso poppa”.
I convogli mantennero una rotta tale da portarli a una distanza da Malta superiore all'autonomia dei velivoli nemici basati sull'isola, tuttavia, il dispositivo di contrasto della Royal Navy comprendeva anche i sommergibili Unbeaten, Upright, Upholder e Ursula dislocati a levante di Tripoli, sulla direttrice del 15° meridiano Est. I quattro sommergibili inglesi formarono una linea trasversale rispetto la rotta più probabile dei trasporti italiani. Fu proprio l'Upholder - posto al comando del celebre Lieutenant-Commander David Wanklyn, a far partire una salva di 4 siluri lanciati a ventaglio che raggiunsero sia l'Oceania che il Neptunia
Immediatamente dal Da Recco, caposcorta (capitano di vascello Stanislao Esposito) partì l'ordine al cacciatorpediniere Usodimare ed al Vulcania di proseguire, mentre le altre navi avrebbero prestato soccorso ai piroscafi colpiti. 

Affondamento del Neptunia

Affondamento del Neptunia
Il Neptunia affondava più velocemente, continuava ad accostare sulla sinistra; era stato colpito sotto la chiglia all'altezza della stiva n°4, con le motrici principali ferme, senza energia elettrica e con il timone bloccato. Alle 06:50 colò a picco con la poppa in verticale. L’ Oceania benché con i propulsori completamente fuori uso non era del tutto condannata. “Il capitano continuava a dire di mantenere la calma”. Decise di trasbordare le truppe sul cacciatorpediniere Pessagno, riuscendo già entro le 7.30 a mettere in salvo 2000 uomini . Frattanto il sommergibile Upholder che non si era allontanato troppo dalla zona se non quanto bastava per sfuggire ad un’eventuale caccia da parte della scorta, riuscì a lanciare una coppia di siluri contro l'Oceania, proprio nel delicato momento in cui questo stava per essere trainato;
“Il capitano gridò: - si salvi chi può! Mi calai in mare e fui aiutato dai tedeschi che mi fecero salire su una zattera in attesa di essere recuperati dal cacciatorpediniere”.
Alle 08.57, a 60 miglia nautiche dal porto di Tripoli, il mare si chiude anche sulla sfortunata Oceania.
Sulle due navi erano imbarcati 5818 militari: le vittime furono 384.
Mio nonno fortunatamente si salvo e proseguì la sua avventura nel Nordafrica per poi continuare a prestare il suo servizio durante la guerra di liberazione nella 51ₐ compagnia teleradio nel gruppo di combattimento Legnano. Le sue storie rimarranno sempre indelebili nei miei ricordi.